Al di là del cielo...
guardando oltre le stelle
- L'astronomia per tutti -
Maurizio “maury” Antonelli
Ho presentato per la prima volta questo talk in occasione del BeachCamp 2009, l'incontro tra geek e blogger che si è tenuto a Francavilla al Mare, in provincia di Chieti, l'8 agosto 2009.
Lo scopo è quello di avvicinare all'osservazione celeste soprattutto chi per la prima volta vede le immagini degli oggetti del profondo cielo, venendo così a scoprire le bellezze che si nascondono dietro un cielo stellato.
Chi come me è appassionato di fantascienza avrà sicuramente riconosciuto la prima parte del titolo. E' il titolo del primo episodio di Taken, la serie TV prodotta dalla DreamWorks, la casa di produzione di Steven Spielberg.
Secondo me rappresenta perfettamente quello che arriverò ad illustrare con questa presentazione: il profondo cielo.
Raramente oggi si ha l'occasione di ammirare un cielo notturno così. Una quantità enorme di stelle ed una lunga fascia chiara che attraversa il cielo da una parte all'altra: la nostra galassia, la Via Lattea.
Il nome Via Lattea proviene dalla mitologia greca. Zeus, il padre degli dei, poco fedele alla consorte Era, ebbe un figlio illegittimo: Ercole. Facendo credere ad Era che fosse figlio della coppia, glielo affidò per farlo allattare, ma al contatto col seno Era si accorse dell'inganno, allontanò Ercole con forza ed uno schizzo di latte fuoriuscì andando a macchiare il cielo scuro e stellato. Ecco quindi che noi vediamo in cielo la fascia chiara che abbiamo visto nelle prime due slide di questa presentazione: la nostra galassia.
Nei pressi della costellazione del Sagittario si nota una parte ancor più luminosa, il nucleo, il centro galattico.
Noi vediamo la nostra galassia come una striscia piatta perché la Via Lattea è una galassia a spirale, un enorme disco composto da un nucleo da cui dipartono dei lunghi bracci a vortice verso l'esterno. E noi le stiamo all'interno.
La posizione del nostro Sole è nel braccio chiamato “Braccio di Orione” e rispetto al centro galattico è circa a due terzi del raggio andando dal centro verso l'esterno; nella “prima periferia”, si potrebbe dire.
Il perché non riusciamo ad avere più nei nostri abitati il cielo della slide precedente è spiegato in questa immagine. Varie foto scattate dal satellite di notte e rimontate a collage ci fanno vedere le zone a più elevato inquinamento luminoso.
Questa immagine ritrae una vista di Roma in notturna.
Vedete come l'illuminazione pubblica disperda una quantità enorme di luce verso l'alto, rendendo il cielo notturno di colore giallastro. Le stelle sono quasi completamente coperte da questa illuminazione, ad eccezione di pochi astri, i più brillanti.
Questo genere di lampioni è uno dei maggiori colpevoli. Saranno belli esteticamente, ma un buon 65% - 70% della luce, invece che illuminare le strade, va a disperdersi verso l'alto. Detto in altre parole: le amministrazioni con i nostri soldi pagano il consumo di una lampada di 100 watt (cifra simbolica, come esempio) per avere un'illuminazione equivalente di circa 30 watt. I restanti 70 watt vanno in cielo, inutilmente.
Fortunatamente stanno entrando in vigore in molte regioni, tra cui l'Abruzzo che l'ha già deliberata, leggi regionali che obbligano le amministrazioni a dotare la pubblica illuminazione di lampade come queste, chiamate lampade cut-off, che concentrano la luce verso il basso, senza dispersioni verso l'alto. Questo permetterà un'elevatissima diminuzione dell'inquinamento luminoso ed un elevatissimo risparmio sui costi energetici.
Ecco allora che rivedremo un cielo notturno così. L'immagine è stata scattata dalla Giant Window (Finestra Gigante) di False Kiva nel Canyonlands National Park, nello Utah.
O come questo.
O come quest'altro, visto dalla Monument Valley. Si riconoscono il pianeta Marte, la luce brillantissima in alto a sinistra, e la costellazione di Orione.
Nell'attesa di poter rivedere un cielo così nelle immediate vicinanze dei nostri abitati, bisogna coprirsi bene con giubbotti, guanti e cappello di lana e partire verso le alte quote (sopra i 1500 / 2000 metri sul livello del mare), dove in genere si recano astrofili ed astrofotografi per godersi quello che non è possibile apprezzare vicino casa.
Andare in altura, così come hanno fatto anche gli astronomi dell'Osservatorio di Pic du Midi, nei Pirenei Francesi.
Anche qui si può ammirare nel cielo stellato la costellazione di Orione, dei Gemelli ed il pianeta Marte.
Naturalmente una volta che si sta davanti ad un bel cielo stellato bisogna munirsi dello strumento adatto per “andare oltre le stelle”: il telescopio.
Il telescopio è uno strumento che ha solo come funzione secondaria quella dell'ingrandimento. A differenza di come credono in molti, l'ingrandimento in un telescoio contribuisce a rovinare la visione; i difetti di costruzione vengono amplificati, così come vengono amplificate le turbolenze atmosferiche, gli spostamenti di aria calda e polveri che andranno ad infastidirci nell'osservazione, rendendoci visioni mosse e poco nitide (lo stesso effetto che si ha sull'asfalto scaldato dal sole, i tipici miraggi estivi sulla strada).
La funzione principale per un telescopio è, invece, quella di raccogliere più luce possibile. Raccoglierla e concentrarla nel punto in cui, tramite l'oculare, andremo ad osservare.
Che cos'è, quindi, un telescopio alla fine? Non è altro che un occhio artificiale molto più grande di quello umano. Il nostro occhio ha una pupilla di diametro di qualche millimetro appena. Pupilla che riuscirà a raccogliere un tot di luce proporzionale a questa apertura. Sufficiente per vedere bene di giorno e per vedere gli oggetti del cielo più brillanti. Assolutamente non sufficiente per vedere oggetti di luminosità molto debole come quelli del profondo cielo che vedremo nelle prossime slide. Un gatto, probabilmente, che ha un occhio molto più adatto del nostro alle basse intensità luminose, di notte vedrà una quantità di stelle e di oggetti celesti di gran lunga superiore a noi umani.
Vedremo meglio questo discorso di raccolta di luce e di ingrandimento di un telescopio nella prossima slide.
Risottolineo che un telescopio ha come funzione principale quella di raccogliere luce e solo come funzione secondaria, senza esagerare e con il giusto compromesso in base alle necessità, quella dell'ingrandimento. Utilizzerò forti ingrandimenti per oggetti tipo i pianeti, dove avrò la possibilità di vedere dettagli solo ingrandendo molto. Per oggetti grandi come le galassie, mi accontenterò, invece, di un ingrandimento limitato, in cambio di una qualità migliore delle immagini.
In questa immagine vediamo un oggetto del profondo cielo, la Galassia di Andromeda, insieme alla Luna. E' un fotomontaggio, ma le proporzioni sono rispettate. Vedete come la galassia sia 6 volte più grande della Luna Piena. Perché allora non riusciamo a vederla? Non perché ha bisogno di essere ingrandita. In cielo è molto grande. Ma perché, essendo un oggetto che si trova a 2 milioni e mezzo di anni luce, la luce che ci arriva da essa è debolissima. L'intensità luminosa diminuisce, infatti, col quadrato della distanza. Ecco perché per osservare il profondo cielo ho bisogno di un “occhio artificiale” più sensibile alla luce di quello umano: il telescopio.
Piccola parentesi. L'anno luce è circa 10 mila miliardi di km. E' la quantità di spazio che la luce, che viaggia ad una velocità di circa 300.000 km al secondo, percorre in un anno. Questo significa anche che la luce che in questo momento arriva sulla Terra dalla Galassia di Andromeda è partita circa 2,5 milioni di anni fa. Quello che vediamo noi è la Galassia di Andromeda, non come è adesso, ma come era 2,5 milioni di anni fa. Questa è una bella caratteristica dell'astronomia. Che non studia l'universo così come è adesso, ma lo studia, diciamo, “storicamente”. Più guardiamo lontano e più vediamo come era tempo fa, andando indietro di migliaia se non di milioni di anni.
Questa è un'antenna, un radio-telescopio del Very Large Array, vicino Socorro nel New Mexico. Gli astronomi e gli astrofisici, oltre che osservare il visibile, osservano anche su altre lunghezze d'onda elettromagnetica tipo gli infrarossi e le onde radio. Il nostro cielo è, infatti, un concentrato di segnali di vario tipo, da scoprire e da interpretare.
Ecco qui il radiotelescopio più grande al mondo. Il radiotelescopio di Arecibo, nell'isola di Porto Rico. È un'antenna con un diametro di 305 metri.
Oggi, tra i tanti utilizzi, c'è anche quello della raccolta di segnali per il progetto SETI, una reale ricerca (reale nel senzo di scienza, quella vera) per segnali di intelligenza provenienti dallo spazio. Chi partecipa al SETI@home mette il proprio computer a disposizione per l'analisi dei segnali che riceve questo telescopio.
Nel 1974 dal radiotelescopio di Arecibo è stato inviato verso l'ammasso globulare M13 (o ammasso dell'Ercole, oggetto che vedremo alla fine) il famoso messaggio che vedete nella figura. Si riconoscono una sagoma umana, l'antenna del radiotelescopio, una rappresentazione grafica della doppia elica del DNA, uno schema del sistema solare e altre informazioni su di noi e sulla nostra cultura.
L'ammasso stellare M13 è ad una distanza di circa 25.000 anni luce. Il messaggio, un'onda radio che viaggia proprio alla velocità della radiazione luminosa, giungerà lì, quindi, tra circa 25.000 anni. Un eventuale messaggio di risposta tornerà dopo un tempo altrettanto lungo. Quando fu mandato questo messaggio si era coscienti della lunghezza dei tempi di attesa, ma il ragionamento fu: “Intanto si deve fare il primo passo”.
Nel 1974 si era pensato che un concentrato di stelle come quello che offre l'ammasso dell'Ercole doveva avere un'alta probabilità di ospitare vita intelligente in grado di ricevere ed interpretare il messaggio. Oggi sappiamo che l'ammasso M13 ha una densità di stelle (e di conseguenza di radiazioni) molto elevata e difficilmente potrebbe esserci stata l'evoluzione della vita. Ma intanto il segnale sta viaggiando...
Il telescopio spaziale orbitante Hubble. Completamente sopra le nuvole e sopra ogni tipo di fastidio causato dall'atmosfera. E' a circa 600 km di quota. Può osservare con qualsiasi condizione meteo. E può anche osservare sia di notte, sia di giorno; fuori dall'atmosfera il fondo del cielo è sempre nero, anche nella direzione del Sole.
E' un potente telescopio a cui dobbiamo gran parte delle conoscenze astronomiche che abbiamo oggi.
Il telescopio spaziale Spitzer. Ancora più moderno. In orbita dall'agosto 2003, osserva nell'infrarosso.
Comunque, “noi comuni mortali”, possiamo tranquillamente accontentarci di strumenti tipo questo. Un tipico telescopio Newton 114.
I telescopi si possono dividere in due grandi categorie:
I telescopi a riflessione. All'interno del tubo ottico abbiamo un sistema di specchi. La luce viene raccolta dallo specchio principale, in questo caso di diametro di 114 mm.
Più grande sarà lo specchio principale, più grande sarà la quantità di luce raccolta e concentrata nel fuoco, dove andremo ad osservare tramite l'oculare.
I telescopi a rifrazione. All'interno del tubo ottico il sistema sarà costituito da lenti. Anche qui, maggiore sarà il diametro della lente principale, maggiore sarà la quantità di luce raccolta.
Non ci crederete, ma anche con un semplice binocolo, con un'apertura di 4 o 5 cm per ogni lente, si possono distinguere e vedere, per lo stesso principio dei telescopi, molte cose interessanti.
Vi invito a provare, possibilmente in montagna, a guardare il cielo con un binocolo. Vi accorgerete di quante stelle in più riuscite a visualizzare rispetto che ad occhio nudo.
In più, la visione binoculare ci permette di avere un'immagine non piatta, ma con una buona percezione della profondità (visione stereoscopica). Ecco perché in alcuni osservatori usano i telescopi binoculari; in pratica due telescopi identici montati in parallelo.
Questo è l'osservatorio del Large Binocular Telescope (LBT) sul Mount Graham in Arizona. Al 25% è anche italiano (http://www.lbt.it).
Anche qui è evidente la Via Lattea nel cielo sopra all'osservatorio.
Armiamoci ora di un telescopio ed iniziamo a guardare l'astro più evidente, il Sole, la nostra stella. Distante ben 150 milioni di Km, circa 8 minuti e 19 secondi luce.
Dovremo munire il telescopio di un apposito filtro. Il Sole, infatti, è un oggetto estremamente pericoloso da osservare. Non va mai guardato ad occhio nudo, con occhiali da Sole, con vetri oscurati, con vetrini da saldatore (a differenza di quello che viene detto dai telegiornali in occasione delle eclissi solari). Il vetrino da saldatore filtra abbastanza bene il visibile, ma non altrettanto bene la radiazione infrarossa, molto molto più pericolosa (è la radiazione che trasporta il calore e che andrebbe a finire dritta dritta sulla nostra retina, con altissimo rischio di danneggiarla irreversibilmente).
Con i vetrini da saldatore si può avere una certa sicurezza con minimo il numero 14. In genere dai ferramenta si trova il numero 11, assolutamente non idoneo.
Il filtro adatto rimane in tutti i modi il filtro in Mylar. Questo strato che vedete montato sull'obiettivo del telescopio. Sembra la carta stagnola da cucina. In realtà è un materiale plastico-sintetico con all'interno uno strato di alluminio.
Il Mylar ha la capacità di riflettere quasi tutta la radiazione incidente, facendo passare solo lo 0,003% della luce visibile e lo 0,5% della radiazione infrarossa; quantità che non saranno pericolose per la nostra retina.
Con questo filtro vedremo il cielo completamente nero ed il disco solare di colore azzurrino/celeste. Con un po' di fortuna si potranno ammirare le macchie solari. Vedremo tra qualche slide cosa sono.
Ecco degli occhialini in Mylar autocostruiti. Per vedere l'eclissi di Sole anche sensa telescopio. Ne costruii nove paia ed in occasione dell'eclissi del 26 marzo 2006 furono un vero successone.
Ecco qui un'immagine della nostra stella. Si vedono chiaramente sulla fotosfera, la superficie esterna del Sole, alcune macchie scure: le Macchie Solari.
Sono delle zone ad intensà attività magnetica. La temperatura in queste zone si aggira sui 5000 gradi Kelvin. Zone leggermente più fredde, se paragonate ai circa 6000 Kelvin del resto della fotosfera. Naturalmente, a queste temperature, anche le macchie solari sono molto brillanti, ma al filtro, rispetto al resto della superficie più calda, ci appaiono come macchie scure.
Sono monitorate con una certa attenzione. Ci danno un indice, infatti, dell'attività magnetica solare. Nel marzo del 1989 una tempesta magnetica proveniente dalla nostra stella causò un black-out di circa nove ore nel Québec, in Canada. E pensate ai disagi, considerando ad esempio ospedali o altri istituti che rischiano la paralisi di reparti dove l'energia elettrica è di vitale importanza.
Tenere sotto controllo l'attività solare potrebbe significare prendere le dovute precauzioni in tempo per evitare eventuali disagi.
In quest'altra immagine, ripresa con un altro tipo di filtro chiamato H-alfa (filtro della banda alfa dell'idrogeno), si vede un altro tipo di fenomeni solari, i brillamenti e le protuberanze o emissioni di massa solare.
Anche questi fenomeni, vere e proprie esplosioni pari a quella di decine di milioni di bombe atomiche, sono legati all'attività magnetica solare. Da questi eventi parte il famoso vento solare, particelle cariche, soprattutto protoni ed elettroni, che entrando nella ionosfera terrestre (circa 100-500 km di quota) generano le aurore polari, fenomeni che vedremo nelle prossime diapositive.
Ecco un'altra immagine di un'emissione di massa da parte del Sole.
A volte questi getti possono raggiungere la Terra, che per fortuna è protetta dall'atmosfera e soprattutto dal proprio campo magnetico.
Uno dei fenomeni visivi più affascinanti che possiamo vedere dalla Terra, l'eclissi solare: la Luna va ad allinearsi col Sole coprendolo completamente (eclissi totale) o lasciando scoperta solo la parte esterna (eclissi anulare).
In questo disegno vediamo bene l'allineamento dei tre astri. La Luna è esattamente allineata tra Sole e Terra. Chi dalla Terra osserverà il Sole, lo vedrà parzialmente o totalmente coperto.
Un'eclissi totale ed un'eclissi parziale, dove la Luna non è perfettamente allineata ed è coperta solo una porzione del Sole.
Un'eclissi osservata vicino alla Grande Muraglia Cinese.
Un'eclissi totale, dal quale, con apposita strumentazione (filtro), possiamo osservare i fenomeni della corona solare. Si vedono chiaramente degli eventi di emissione di massa.
L'effetto ombra di un'eclissi vista dallo spazio. Chi si trova sulla Terra, all'interno dalla zona scura, nella zona d'ombra, sta vivendo un'eclissi solare.
In questo filmatino vediamo un'eclissi anulare.
La Luna è, lungo la sua orbita, in una delle posizioni più distanti dalla Terra e quindi dal pianeta non viene vista abbastanza grande da poter coprire tutto il Sole. L'allineamento perfetto dei tre astri ci offre la visione dell'anello solare più esterno.
Questa immagine è un'eclissi totale vista dalla Luna. Il 10 febbraio 2009 la sonda giapponese Kaguya, in orbita attorno alla Luna, ha scattato questa foto. Il Sole è completamente coperto dalla Terra. L'anello luminoso è l'atmosfera terrestre illuminata. Questa foto ci dà il senso della piccolezza della nostra fascia d'aria rispetto alle dimensioni terrestri.
Ecco un'altra bella foto della nostra stella, scattata dall'astrofotografo francese Thierry Legault. Indovinate cosa è riuscito a beccare l'autore...
Vedete quei due puntini neri? Beh, non sono affatto macchie solari:
In controluce sul Sole, lo Shuttle Atlantis sta per ormeggiare sulla Stazione Spaziale Internazionale.
E qui, il 13 maggio 2009, l'Atlantis si avvicina al Telescopio Spaziale Hubble. Gli astronauti si preparano a riparazioni e modifiche del famoso telescopio.
Passiamo ora all'astro più vicino al nostro pianeta: la Luna. Distante circa 380.000 Km, poco più di un secondo luce, ha un diametro di circa un terzo di quello terrestre. Nel Sistema Solare il sistema Terra/Luna è il caso in cui pianeta e satellite si somigliano di più relativamente alla grandezza.
Come la Terra, anche la Luna è stata bombardata nei miliardi di anni da tantissimi oggetti venuti dallo spazio. A differenza del pianeta, però, il nostro satellite non ha atmosfera. Non ci sono stati quindi agenti in grado si rimodellare col tempo la superficie, tipo venti e precipitazioni varie. Ecco quindi che già a bassissimo ingrandimento, si possono ammirare i vari crateri e le varie montuosità del suolo lunare.
Si vedono anche vaste zone più scure, i famosi mari lunari. Queste zone sono dovute, probabilmente, ad una fuoriuscita di magma da crateri di impatto profondi. Il meteorite è riuscito ad arrivare nel mantello lunare e la lava fuoriuscita ha riempito queste zone formando delle vaste pianure. Il colore scuro è dovuto, infatti, al materiale basaltico.
Le varie missioni lunari sono sempre atterrate nei mari. Il resto della Luna dobbiamo, infatti, immaginarcelo come un paesaggio montano e un allunaggio nelle zone di montagna sarebbe troppo rischioso.
La Luna piena. Il Sole illumina il nostro satellite proprio perpendicolarmente alla faccia rivolta verso la Terra; e noi vediamo il disco completo.
Attenzione. È il corpo meno adatto da osservare. È, infatti, completamente privo di ombre; un po' quello che succede sulla Terra a mezzogiorno. La mancanza di ombre non ci permette una visione tridimensionale e quindi non riusciamo a percepire le montuosità ed i crateri della superficie.
La Luna mostra verso la Terra sempre la stessa faccia, con alcune zone sul bordo che si alternano a causa dell'inclinazione dell'asse terrestre che varia durante l'anno ed a causa delle “librazioni” dell'orbita lunare, piccole oscillazioni che ci mostrano a volte una parte più ad est ed a volta una parte più ad ovest del disco lunare.
Quando la Terra va a trovarsi proprio in allineamento tra il Sole e la Luna, la sua ombra oscura il nostro satellite dall'illuminazione solare e si ha l'eclissi di Luna.
In questa slide un'eclissi di Luna parziale ripresa in otto momenti diversi. La Luna percorre in cielo il suo cammino e si può vedere, ricombinando le immagini, l'ombra proiettata dalla Terra.
Diverse eclissi lunari. Già da qui potete vedere la famosa Luna Rossa.
Ed eccola. La Luna di colore rosso in tutto il suo splendore. L'immagine affascinante nel fenomeno dell'eclissi di Luna. La Terra proietta la propria ombra sul disco lunare, ma la componente rossa della luce solare viene rifratta dall'atmosfera e va a colpire il nostro satellite, illuminandolo di rosso.
Altre belle foto di eclissi di Luna, questa volta a Parigi.
La Luna che sorge... ma stavolta vista dallo spazio, dall'orbita attorno alla Terra.
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Lunar_libration_with_phase2.gif
Ecco, come detto qualche slide fa, cosa mostra la Luna alla Terra ad ogni ciclo. Vedete che pur essendo sempre la stessa faccia, si alternano piccole fasce sui bordi.
Ognuno di questi cicli viene chiamato “Lunazione”.
L'ultima foto della Luna che vi mostro è una piccola chicca di un astrofilo italiano, Marco Bastoni (http://www.astrofoto.it). Marco è riuscito a riprendere l'8 settembre 2009 la Stazione Spaziale Internazionale mentre transitava proprio davanti al nostro satellite.
Abbiamo visto l'oggetto più vicino alla Terra. Ora iniziamo ad allontanarci, addentrandoci nel Sistema Solare: una stella centrale, il nostro Sole, e diversi oggetti che le orbitano attorno.
In questa slide, con le distanze non in scala, potete vedere le proporzioni tra le dimensioni del nostro Sole rispetto alle dimensioni degli oggetti principali che compongono il Sistema Solare.
Si riconoscono subito Giove e Saturno e via via gli altri sei pianeti principali di gran lunga più piccolini.
Gli otto pianeti sono così divisi: i primi quattro, i pianeti terrestri, che presentano una crosta solida, ed i giganti gassosi, che, invece, si presentano come enormi palle di gas.
Ed iniziamo con i pianeti principali, andando dal più vicino al Sole e via via ai più lontani.
Mercurio, è anche il più piccolo degli otto pianeti. Ha un diametro di circa 4900 km, meno della metà della Terra.
Come potete vedere la sua superficie ricorda molto quella lunare. È un pianeta, infatti, completamente privo di atmosfera e quindi gli impatti meteorici avvenuti nei miliardi di anni hanno completamente craterizzato la superficie della crosta.
Il secondo pianeta prende il nome da come i Romani chiamavano la dea greca della bellezza. E come non poter capire questa cosa? Nelle ore vicine all'alba o al tramonto lo si vede brillare in cielo con una luminosità a dir poco impressionante.
Ma vediamolo meglio da vicino. L'atmosfera di Venere è quasi completamente composta da anidride carbonica (biossido di carbonio). Il restante 3,5% è quasi completamente azoto. L'effetto serra è incredibilmente enorme e la pressione è circa 92 volte quella dell'atmosfera terrestre. Inoltre è presente uno strato di nubi composte soprattutto da acido solforico (che dà la colorazione gialla che si vede nell'immagine).
La foto è ripresa con un'osservazione all'ultravioletto, che ha permesso di vederne la nuvolosità atmosferica.
Capite che Venere sarà stata anche la dea della bellezza per le mitologie antiche, ma come pianeta è decisamente il più inospitale del Sistema Solare.
Come la Luna, Venere mostra le fasi. Essendo, infatti, un pianeta in un orbita più interna a quella della Terra, a seconda della sua posizione, lo possiamo vedere interamente illuminato o parzialmente.
Ed eccoci al nostro pianeta, il pianeta azzurro, la Terra.
Sempre il nostro pianeta, ma ripreso questa volta in un'immagine che solo le missioni spaziali possono permettere. Questa foto è stata scattata all'inizio del 2009 dalla sonda Kaguya, una sonda giapponese che dopo aver orbitato per circa un anno e mezzo attorno al nostro satellite ha terminato la sua missione precipitando sul suolo lunare il 10 giugno 2009, come da programma.
E in questa foto ammiriamo il nostro pianeta dalla Luna, uno spettacolo che solo alcuni astronauti hanno avuto la fortuna di vedere di persona.
Alcune immagini, ora, per mostrare quanto il nostro pianeta sia affascinante, non solo visto dallo spazio.
Qui vediamo un arcobaleno formato da piccole nuvolette. Non è il classico arcobaleno successivo ad un temporale. Le goccioline di umidità presenti nelle piccole nubi della foto sono sufficienti a separare i colori della luce solare formando così la bella colorazione che si nota.
E lo stesso possiamo ammirare qui, da una posizione molto più sulla verticale del fenomeno.
Un'altra bella immagine del pianeta più bello del Sistema Solare. A causa di alcuni fenomeni di temperatura e pressione la nube va ad adagiarsi come un cuscino proprio sulla vetta del monte.
E anche nei fenomeni cataclismatici il nostro pianeta presenta degli scenari artistici unici, come in questa eruzione vulcanica del Krakatoa in Indonesia.
Queste ultime immagini non le ho inserite solo per contemplare la bellezza del nostro pianeta, ma molto più per fare qualche osservazione.
Le varie associazioni ambientaliste continuano a promuovere le loro idee con slogan del tipo: “Stiamo distruggendo il pianeta”. Non è proprio così!
E' vero che, soprattutto con l'inquinamento, noi stiamo modificando drasticamente l'ambiente, ma la Terra da questo è in grado di difendersi benissimo da sola. Le materie plastiche, come esempio tra le più inquinanti, hanno un tempo di decomposizione di circa qualche migliaio di anni. Tempo enorme per noi del genere umano, ma un semplice schiocco di dita per il nostro pianeta che ha circa cinque miliardi di anni di vita.
L'inquinamento che stiamo provocando renderà il nostro ambiente non più vitalmente ospitale per l'uomo e per diverse altre specie animali, ma alla Terra farà a malapena “il solletico”. Noi finiremo per scomparire, per estinguerci, ma in un relativo “batter d'occhio” il pianeta ritroverà la sua “omeostasi”, il suo equilibrio, riuscendo tranquillamente a far finta che nulla sia successo.
Pensiamoci bene, perché chi veramente sarà danneggiato dai nostri comportamenti, saremo proprio noi umani.
Questa è ormai una foto classica che si esegue sotto i cieli stellati. Si punta la Stella Polare, che si trova sempre sul nord geografico, e si tiene l'otturatore della macchina fotografica aperto per un determinato tempo. Nell'arco della nottata si vedrà la Stella Polare fissa e le altre stelle che compiono una traiettoria circolare attorno ad essa a causa della rotazione terrestre.
In fotografia il risultato è questo. La Polare fissa al centro; e tutte le altre stelle che tracciano il cerchio del loro moto apparente.
A occhio, in questo caso, il tempo di esposizione sembrerebbe di circa una o due ore (gli archi tracciati sono di 15-30 gradi).
Ecco qui un'altra foto simile, ma con un tempo di esposizione molto più lungo.
E rimaniamo ancora sulla Terra. Un'aurora boreale. Un fenomeno che avviene alle alte latitudini. Le radiazioni cosmiche, in genere provenienti dal Sole, ma in buona parte anche dallo spazio profondo, vengono deviate dal campo magnetico terrestre verso le zone dei poli. La concentrazione di questa energia “ionizza” la fascia della ionosfera, rendendola fluorescente. In viaggio verso i circoli polari ci si può quindi imbattere spesso in questi affascinantissimi fenomeni dell'alta atmosfera.
Un'altra bellissima immagine di un aurora boreale; in questa foto si percepisce molto meglio il movimento e la dinamicità del fenomeno.
Ed, infine, un'aurora boreale vista dallo spazio, durante una missione spaziale.
La Terra vista dallo spazio. Uno spettacolo che solo gli astronauti hanno la fortuna di ammirare.
Personalmente penso che valga la pena continuare a finanziare le missioni spaziali anche solo per le belle immagini che ci arrivano da esse.
In questa bella foto uno dei due Boeing 747 della NASA trasporta lo Shuttle Atlantis verso il Kennedy Space Center in Florida dopo una missione terminata con l'atterraggio in California.
Gli Space Shuttle sono, infatti, in grado di rientrare nell'atmosfera terrestre ed atterrare esattamente come un normale aereo.
Ho scelto di mostrare questa immagine perché, secondo me, simboleggia molto bene gli elevati costi delle missioni spaziali e della ricerca scientifica in generale. Le missioni spaziali e la ricerca astronomica, in particolar modo, come si può immaginare, sono strettamente collegate.
Ora una domanda che ci saremo fatti sicuramente tutti: val la pena spendere così tanto?
Personalmente penso che, come ho detto sopra, solo per la bellezza e l'interesse che destano le immagini che ogni missione spaziale ci fornisce, valga la pena continuare.
E comunque, l'astrofisica e l'astronautica hanno avuto in primis delle ricadute tecnologiche nel mondo di oggi che molti di noi ignorano. Pensiamo ad esempio alla radiotelefonia (cellulare e non). Strumenti di cui si è velocizzata la realizzazione proprio per la necessità richiesta nelle missioni spaziali e che successivamente sono diventati di utilizzo comune. Oppure ai computer portatili, sviluppati proprio per essere montati nello spazio ristretto delle navicelle spaziali. Probabilmente, senza lo stimolo dell'astronautica, ancora non saremmo agli attuali livelli.
E veniamo ora alla ricerca pura: perché continuare ad osservare il cielo, tirando fuori teorie su origine dell'universo, nuovi oggetti osservati, o anche continuare a studiare varie radiazioni cosmiche o strane particelle che arrivano sulla Terra (vedi ad esempio la ricerca sui neutrini ai Laboratori del Gran Sasso). L'obiettivo della “ricerca pura” è principalmente quello della conoscenza. Ma anche se questa può sembrare un tipo di scienza fine a se stessa, in futuro potrebbe mostrarci delle ricadute scientifiche e delle applicazioni di enorme importanza.
Vi faccio un esempio: quando Wilhelm Conrad Röntgen iniziò a studiare i Raggi X alla fine del XIX secolo o quando alcuni astrofisici iniziarono ad osservare sorgenti di Raggi γ dallo spazio, nessuno poteva immaginare che al giorno d'oggi si sarebbe arrivati ad usare queste radiazioni per effettuare radiografie (i raggi X) o per curare tumori tramite la radioterapia (utilizzo di entrambe le radiazioni). Però è una ricerca che è stata portata avanti; ci ha permesso di conoscere a fondo queste forme di energia, finché qualche ricercatore medico, o biologo o ingegnere ha trovato il modo di applicarle in campi di grandissima importanza quali la medicina, le energie alternative o chissà quali altri.
E quindi ora vi ripropongo la domanda: val la pena finanziare la ricerca scientifica?
Le ultime immagini del nostro pianeta, per concludere in bellezza, ve le propongo dalle missioni spaziali: qui vediamo la Stazione Spaziale Internazionale passare sopra a... vabbè, l'avete riconosciuta, vero?
La foto è stata scattata dallo Space Shuttle Endeavour dopo essersi distaccato dalla Stazione per il ritorno a Terra.
In questa immagine gli astronauti Robert L. Curbeam (USA) e Christer Fuglesang (Svezia) sono al lavoro per aggiungere un nuovo segmento alla Stazione Spaziale Internazionale.
La ISS è in orbita a circa 400 km dalla Terra e molti astronauti affermano che da lassù, troppo poco lontani per vedere il pianeta come una sfera sospesa nello spazio, si hanno sensazioni di vertigini.
Passiamo ora al quarto pianeta: Marte.
È il pianeta che più si avvicina alla Terra come composizione atmosferica. Oggi lo si continua ad osservare e studiare proprio perché al momento è quello che meglio potrebbe ospitare l'uomo.
E questo è il motivo per cui ci stiamo mandando questi robottini: in avanscoperta. In questi mini-rover sono compresi dei completi laboratori di geologia. Analizzano rocce, atmosfera e tutto quello che ci può interessare per valutare una possibile abitabilità del pianeta per il futuro.
La missione umana su Marte non è lontana. La si prevede per i prossimi 20/30 anni. A livello tecnologico sarebbe già abbastanza possibile. Le tecnologie per portare un equipaggio sul “pianeta rosso” ci sarebbero già. Ma il problema più grosso è quello psicologico: immaginate una missione di tre o quattro anni: 6/9 mesi per andare, qualche anno per aspettare che Terra e Marte si ritrovino nel lato giusto rispetto al Sole (per minimizzare la distanza del viaggio di ritorno) ed altri 6/9 mesi di viaggio per tornare a casa. Immaginate poi un equipaggio composto minimo da: un pilota, un medico di missione, un ingegnere (addetto alla manutenzione ed ai vari problemi), un geologo e probabilmente un biologo (visto che non si va su Marte per niente, ma per portare avanti reali progetti di ricerca). Un equipaggio che si ritroverà a vivere in uno spazio ristrettissimo per alcuni anni, senza la possibilità di un'uscita anche solo per prendere un po' d'aria. Pensate ora alla vostra vita familiare all'interno delle vostre case. Spero che siate riusciti a capire il problema. Questi elementi dell'equipaggio dovrebbero essere persone di un equilibrio mentale di gran lunga al di sopra della media. Anche perché nelle missioni spaziali armonia e sintonia sono di vitale importanza. In qualsiasi situazione di emergenza, come potete immaginare, non ci saranno scialuppe di salvataggio a disposizione, ma solo la competenza e l'affiatamento della squadra a bordo potrà fare la differenza.
E quindi, intanto, prendiamo tempo e sfruttiamo i nostri rover automatizzati...
In questa slide uno dei due satelliti di Marte: Fobos. L'altro si chiama Deimos (in greco i due termini significano “Paura e Terrore”). La prima cosa che si nota oltre ai crateri è la forma irregolare. Infatti Phobos e Deimos non si sono formati dal materiale del pianeta Marte (come la Luna da quello della Terra), ma non sono altro che grossi asteroidi che sono stati catturati dalla gravitazione del Pianeta Rosso, entrando in orbita. La nostra Luna, invece, presenta per l'appunto una forma con ottima approssimazione sferica. Essa, infatti, si sarebbe formata, secondo una delle attuali teorie maggiormente accreditate, quando la Terra, ancora in uno stato di magma fluido, fu colpita da un grosso asteroide (chiamato Theia). L'urto provocò il distacco dal pianeta di tantissimi detriti che entrarono in orbita. Molti di essi ricaddero sulla Terra, ma moltissimi altri, per reciproca attrazione gravitazione, si unirono tra di loro in una specie di risucchio a spirale (che diede la conseguente forma sferica) e rimasero in orbita: compattandosi sempre di più; nacque la Luna.
Un'ultima immagine dei pianeti terrestri, prima di passare ai gassosi. Vediamo Mercurio, Venere, Terra e Marte in scala per renderci conto del rapporto tra le loro dimensioni.
La Terra è il più grande dei quattro con Venere leggermente più piccola. Marte è all'incirca la metà della Terra, mentre Mercurio circa un terzo (più o meno come la nostra Luna).
Giove. Il pianeta più grande del Sistema Solare ed il primo tra i pianeti gassosi, andando da quello con l'orbita più interna a quello con la più esterna.
Una grandissima “palla di gas”. Giove e gli altri pianeti gassosi non presentano, infatti, una crosta solida come quella dove camminiamo sulla Terra, come quella dove i nostri astronauti sono atterrati sulla Luna o come quella dove i mini-rover automatizzati stanno “gironzolando” su Marte. È un pianeta composto principalmente da un'enorme atmosfera. Con ogni probabilità all'interno vi è un nucleo solido, probabilmente ferroso.
La rotazione attorno al proprio asse e la conseguente forza centrifuga separano i gas spingendo i più pesanti verso le fasce più esterne (quelle equatoriali), mentre i gas più leggeri rimangono nella fasce più interne (più verso i poli). Questo fatto, unito ai venti che soffiano veloci parallelamente all'equatore, ci creano la visione di Giove a fasce. Si riconoscono, infatti, fasce più chiare alternate a fasce più scure.
Ecco qui, ripreso in due momenti diversi, il famoso ciclone, la “Grande Macchia Rossa” dell'atmosfera di Giove.
Quando puntiamo Giove al telescopio, oltre al disco del pianeta, riusciamo a vedere anche i quattro satelliti galileiani, i suoi quattro satelliti maggiori. Giove ha “al momento” 63 satelliti. Dico “al momento” perché man mano che lo osserviamo meglio con sonde e missioni spaziali sempre più avanzate se ne scoprono sempre di altri.
Dalla Terra, comunque, riusciamo a vedere solo i quattro più grandi, chiamati “galileiani” perché fu proprio Galileo Galilei a scoprirli con il suo primo telescopio.
Vediamo ora di vederli da vicino, con le immagini ravvicinate ricevute dalle sonde.
Partiamo dal più vicino, andando verso il più lontano.
Il primo è Io. Questo satellite è l'oggetto nel sistema solare a più alta attività vulcanica. Le numerose eruzioni vulcaniche espellono dall'interno del satellite zolfo e biossido di zolfo, sostanze che gli danno la colorazione giallastra.
Un'altra immagine di IO in cui si vede un'eruzione.
Il secondo satellite galileiano (o anche mediceo) è Europa.
Presenta una superficie completamente liscia e ghiacciata, stranamente priva di crateri da impatto.
Sotto alla coltre di ghiaccio si potrebbe nascondere un oceano di acqua. La presenza di questo oceano spiegherebbe l'assenza di crateri: un continuo rimodellamento della superficie ghiacciata.
Il terzo satellite mediceo è Ganimede.
Anche qui si pensa che ci sia uno strato interno di acqua liquida, un grande oceano. La sonda Galileo ha misurato un campo magnetico e ha trovato una tenue atmosfera di ossigeno.
Callisto è il satellite naturale più craterizzato del Sistema Solare.
Non presenta catene montuose. Probabilmente molti crateri e molte formazioni sono scomparse per via dello scorrimento dei ghiacci durante le ere geologiche.
Il sesto pianeta è Saturno. Al telescopio lo vediamo con i tipici anelli.
Saturno non è il solo pianeta con gli anelli. Tutti i giganti gassosi li possiedono (anche Giove, Urano e Nettuno, quindi). Ma in Saturno sono molto più grandi ed evidenti e riusciamo a vederli distintamente con qualsiasi strumentino, anche amatoriale.
La più accreditata teoria sulla formazione di questi anelli ipotizza che alcuni satelliti naturali del pianeta, a causa della forza centrifuga dovuta al loro moto di rivoluzione ed a causa della forza centripeta dovuta alla fortissima forza gravitazionale del gigante gassoso, due forze che si oppongono quindi, si sono “sbriciolati”, dando origine al “pietrisco” che costituisce gli anelli. Questo “pulviscolo” ha dimensioni che vanno da qualche millimetro di diametro a qualche decina di metri.
Nell'anello sono visibili delle fasce vuote; le due più evidenti sono la divisione di Cassini e la divisione di Encke. Queste sono generate, probabilmente, da grossi satelliti pastori che con la loro orbita hanno fatto pulizia degli oggetti più piccoli.
Nell'immagine possiamo vedere anche alcuni satelliti naturali esterni agli anelli ed uno in particolare che proietta la propria ombra sul pianeta: un'eclissi di Sole su Saturno.
Questo è Titano, il satellite maggiore di Saturno.
La sua densa atmosfera ha impedito le osservazioni accurate dalla Terra.
Nel gennaio 2005 la sonda Huygens è atterrata sul satellite e ci ha mostrato come l'atmosfera sia ricca di metano e siano presenti sulla superficie delle formazioni non uniformi che potrebbero essere qualcosa di simile a dei continenti.
Un altro bel satellite di Saturno che si sta studiando con particolare interesse è Encelado.
Ha una superficie completamente ghiacciata che riflette la luce (proprietà di albeo) quasi completamente.
Su Encelado la sonda Cassini ha osservato delle eruzioni generate probabilmente da acqua liquida sotto la superficie.
Un'altra immagine del pianeta con Titano, il suo satellite maggiore. Si vede molto chiaramente l'ombra degli anelli proiettata sul pianeta.
In questa foto si vede una tempesta elettromagnetica sul disco di Saturno.
Questa è una bellissima immagine inviataci dalla sonda Cassini. Un'eclissi di Sole da parte di Saturno.
Il Sole si trova esattamente dietro al pianeta, totalmente eclissato; e i colori e l'effetto visivo che ne son venuti fuori sono veramente unici.
Ogni 12/13 anni circa Saturno si viene a trovare esattamente sul piano dell'orbita terrestre.
A livello visivo, dalla Terra, vediamo gli anelli che si allineano fino a scomparire, sostituiti da una fine linea scura. Inutile dire che è un anno bruttino per chi vuole osservare Saturno, dato che ci priva della sua caratteristica più affascinante...
Urano è il terzo gigante gassoso.
Nel visibile lo vediamo come una sfera azzurrina, probabilmente a causa della presenza molto elevata di materiale ghiacchiato.
All'infrarosso, invece, è stato visto così. Compaiono anche gli anelli, tipici di tutti e quattro i giganti gassosi.
Ed ecco l'ultimo pianeta, Nettuno.
Un altro gigante gassoso con un'elevata concentrazione di metano, ammoniaca ed acqua ghiacciati, responsabili della colorazione azzurra.
E qui vediamo Plutone ed il suo satellite Caronte in un fotomontaggio in scala vicino alla Terra e alla Luna.
I pianeti del Sistema Solare sono otto: quattro pianeti terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) e quattro giganti gassosi (Giove, Saturno, Urano e Nettuno).
Plutone, che fino al 2006 veniva considerato il nono pianeta, è stato declassato a pianeta nano. A differenza di quel che dice il termine, i pianeti nani non sono oggetti di dimensione più piccola; non necessariamente, almeno. Sono oggetti di forma sferoidale che ancora non riescono a ripulire la propria orbita da oggetti più piccoli, ma di dimensioni confrontabili.
Al momento i pianeti nani sono cinque.
Il primo è Ceres, il più grande asteroide della fascia principale tra Marte e Giove.
E poi ci sono altri quattro oggetti trans-nettuniani, oggetti che hanno l'orbita al di là di quella di Nettuno: Plutone, Haumea, Makemake ed Eris.
Questi ultimi quattro fanno parte della cosiddetta fascia di Kuiper, un'enorma fascia di oggetti tran-nettuniani composta da planetoidi (oggetti con caratteristiche che sembrano tipiche di un pianeta, ma che sono ancora da classificare), da grossi asteroidi e da comete.
I quattro pianeti nani trans-nettuniani sono chiamati anche plutoidi.
Una rappresentazione artistica di Haumea insieme ai suoi due satelliti Hi'iaka e Namaka. Haumea prende il suo nome dalla dea hawaiana della fertilità.
E questa è una rappresentazione artistica di un altro dei quattro plutoidi: Makemake. Prende il nome dalla divinità della creazione nella mitologia dell'isola di Pasqua.
Un modo simpatico per osservare i due pianeti con orbita interna a quella terrestre, Mercurio e Venere, è quando questi si allineano con il Sole: durante il transito. Dalla Terra, con l'apposito filtro in mylar, vediamo il disco solare con la sagoma del pianeta in controluce.
Sono eventi abbastanza rari e questo mostrato nella foto è Venere nel transito dell'8 giugno 2004.
Nel caso del transito il pianeta in esame passa davanti al Sole. Quando, invece, l'allineamento si ha con il passaggio del pianeta dietro al nostro satellite, la Luna, si ha il fenomeno dell'occultazione.
In questa immagine Saturno sta per essere occultato.
Una ricostruzione di più momenti di una “quasi” occultazione. L'allineamento non è perfetto e vediamo Saturno che arriva a toccare il disco lunare senza venir nascosto completamente.
Infine, nell'osservazione dei pianeti, il fenomeno della congiunzione.
Un pianeta arriva quasi ad allinearsi con altri pianeti o altri corpi. In cielo si vedono così questi oggetti vicinissimi. Nella slide precedente Saturno, più che essere occultato dalla Luna, era proprio in congiunzione.
Un'altra bella immagine di una congiunzione. Questa volta tra la Luna e due pianeti.
Oltre ai pianeti appena illustrati, ai relativi satelliti ed ai cinque pianeti nani, attorno al Sole orbitano tantissimi altri oggetti. Molti di essi sono rocciosi/ferrosi ed hanno forma irregolare: gli asteroidi.
Sebbene siano diffusi un po' su tutto il Sistema Solare, si concentrano principalmente nella fascia principale degli asteroidi tra i pianeti Marte e Giove e nella fascia di Kuiper. Quest'ultima si trova al di là dell'orbita di Nettuno ed oltre ad asteroidi è formata anche dai quattro pianeti nani trans-nettuniani, da planetoidi ancora da classificare e da comete.
Ogni tanto alcuni asteroidi si avvicinano alla Terra e vengono attirati dalla forza gravitazionale.
Arrivando nell'atmosfera a velocità elevatissime (20.000/30.000 Km orari), il forte attrito li porta a temperature elevatissime, ad incandescenza e a disintegrazione. Ecco che noi da terra vediamo le famose stelle cadenti, dette propriamente meteore o bolidi nel caso delle più grosse e luminose.
Alcuni particolarmente grandi non si disintegrano completamente in atmosfera ed arrivano fino al suolo terrestre. La velocità elevatissima e la conseguente altissima energia cinetica provocano nell'impatto i crateri meteorici.
Li abbiamo visti precedentemente sul suolo della Luna; eccone un esempio terrestre: il Meteor Crater in Arizona (diametro di 1200 m e profondità di 170). Il clima tipicamente desertico (piogge pressoché assenti) lo ha fatto conservare benissimo. In molti altri luoghi erosioni, precipitazioni e la vita vegetale ed animale hanno contribuito a ricoprirli (esattamente quello che è mancato sulla Luna).
Tra i vari meteoriti caduti sulla Terra il più importante è sicuramente il meteorite di Murchison; caduto nel 1969 in Australia, vicino al piccolo abitato rurale da cui prende il nome.
Tra i suoi frammenti sono stati trovati circa cento tipi diversi di amminoacidi, le molecole base della materia vivente.
Questo ritrovamente avvalora la teoria della Panspermia, che sta sostituendo la teoria del brodo primordiale da cui avrebbe avuto inizio la vita.
La vita non si sarebbe generata da acqua ricca di sostanze a base di carbonio e scariche elettriche, ma probabilmente da qualcosa proveniente dallo spazio. Un meteorite avrebbe portato amminoacidi ed altri composti organici “inseminando” letteralmente la Terra (da qui il termine Panspermia), dove poi avrebbe avuto luogo l'evoluzione che ci ha portati fino ad oggi.
Gli ultimi oggetti che ci presenta il nostro Sistema Solare sono le comete. Alcuni astronomi le descrivono come “grosse palle di neve sporca”, grosse fino a qualche decina di chilometri di diametro.
Il termine “sporca” ci indica che all'interno dell'acqua ghiacciata troviamo anche pietrisco e polveri rocciose.
Molte comete orbitano attorno al Sole esattamente come i pianeti, ma con un'orbita molto più eccentrica. Questo spiega il loro ripresentarsi dopo diversi decenni, dato che si allontanano tantissimo dal Sole prima di tornare.
Non tutte però orbitano. Alcune comete, infatti, passano vicino al Sole e successivamente, con una traiettoria iperbolica, si allontanano per sempre perdendosi nello spazio.
Le comete che orbitano passano nelle vicinanze del Sole, che come per tutti gli altri oggetti occupa la posizione di uno dei due fuochi della traiettoria ellittica, e successivamente al passaggio si allontanano fino a raggiungere la fascia di Kuiper o anche la nube di Oort, una zona composta prevalentemente da nuclei di comete ai confini del Sistema Solare; si pensa che quest'ultima si estenda dalla fascia di Kuiper fino a circa due anni luce, più o meno metà strada con Proxima Centauri, la stella più vicina al Sole.
In questa immagine si comprende bene la spiegazione del fenomeno delle code. La cometa, quando si avvicina al Sole, viene bombardata dal vento solare, protoni e radiazioni di vario genere, ed inizia a sublimare (passare dalla stato solido a quello gassoso direttamente, senza passare per lo stato liquido). Il materiale rilasciato da questo processo viene lanciato dalla parte opposta del Sole e quindi noi vediamo la coda sempre in contrapposizione alla posizione della nostra stella.
Nell'immagine si vedono due code. La coda gialla è composta dal materiale distaccato e, per via del movimento orbitale della cometa, risente di questo spostamento e la troviamo leggermente incurvata. La coda azzurra è, invece, la coda di ioni; il materiale che il forte vento solare ionizza. Questa coda è sempre perfettamente contraria alla posizione del Sole.
Il materiale roccioso rilasciato dalle comete orbiterà lentamente attorno al Sole. Quando la Terra passa nelle sue vicinanze, viene attratto ed entrando in atmosfera dà origine al fenomeno degli sciami meteorici, nottate intere con decine di stelle cadenti ogni ora.
Il più importante è sicuramente lo sciame delle Perseidi, centrato non alla notte di San Lorenzo del 10 agosto come si pensa ancora, ma al 12 di agosto. Questo spostamento di due giorni è dovuto al fatto che il materiale cometario orbita, seppur lentamente, attorno alla nostra stella e quindi il 10 agosto era la notte centrale di qualche decina di anni fa, ma oggi si è spostata al 12. Naturalmente il fenomeno delle Perseidi è visibile da quattro o cinque giorni prima a quattro o cinque giorni dopo e non solo nella notte in cui è centrato.
Il nome “Perseidi” deriva dal fatto che tutte le stelle cadenti dello sciame, viste dalla Terra, sembrano provenire apparentemente dalla costellazione del Perseo.
Esistono altri sciami durante l'anno, anche se sono meno conosciuti. Ad esempio le Geminidi, con radiale di provenienza i Gemelli, le Leonidi dal Leone, le Delta Acquaridi dall'Acquario, ecc. ecc.
Questa foto a lunga esposizione ci permette di vedere bene la radiale dello sciame meteorico. Come potete vedere le stesse sembrano provenire tutte dallo stesso punto.
Abbiamo finito col Sistema Solare... e ora si va oltre.
Chi ha già un po' di dimestichezza col cielo stellato avrà sicuramente riconosciuto la costellazione di Orione. La prima cosa che si individua sono le tre stelle, Alnitak, Alnilam e Mintaka che formano la famosa “cintura”. L'Orione è la costellazione più grande, come area apparente, che abbiamo in cielo.
Ma cos'è una costellazione? Le costellazioni sono oggetti che non esistono; non fisici. Sono oggetti apparenti: una proiezione sulla volta celeste in due dimensioni di quello che in realtà è a tre dimensioni. Guardando una costellazione dalla Terra ci manca l'informazione della profondità.
Se potessimo girare attorno a qualsiasi costellazione ci accorgeremmo come le stelle che la compongono sono tutt'altro che vicine. Dal nostro punto di vista potremmo dire che sono solo quasi allineate.
Il nome giusto della costellazione è asterisma, allineamento di stelle che appaiono, appunto, vicine.
Ora, prima di passare agli oggetti reali che popolano l'universo, una piccola domanda: se le costellazioni non sono oggetti fisici, e quindi non lo sono nemmeno i dodici segni zodiacali, su cosa si basa l'astrologia?
I primi oggetti fisici che costituiscono l'universo, partendo dai più grandi, sono le galassie.
Tutta la materia nello spazio è raggruppata in galassie, questi enormi oggetti, la maggior parte dei quali hanno struttura simile a quella illustrata in questa foto: un nucleo ad alta densità stellare da cui dipartono braccia a spirale.
Tra una galassia e l'altra c'è il vuoto, al massimo qualche molecola di idrogeno vagante, ma fondamentalmente il nulla.
La galassia raffigurata nella foto è la nostra “vicina di casa”: la galassia di Andromeda, la più vicina a quella a cui appartiene il nostro Sole, la Via Lattea.
Un'altra caratteristica che vien fuori dalla foto sono le due galassie satelliti, M32 ed M110. Due galassiette molto più piccole che ruotano attorno alla galassia madre. Anche la Via Lattea possiede galassie satelliti; le più importanti possono essere viste anche ad occhio nudo dall'emisfero australe: la Grande e la Piccola Nube di Magellano, chiamate così perché il primo ad osservarle fu proprio l'esploratore Ferdinando Magellano durante il suo viaggio di circumnavigazione del globo terrestre.
Un'altra immagine di una bella galassia, vista ad un'inclinazione molto bassa. L'aspetto fa pensare proprio alla tesa di un sombrero e per l'appunto questa galassia è stata battezzata Galassia Sombrero. Il nome secondo il catalogo di Messier (uno dei primi cataloghi degli oggetti astronomici) è M104.
Ma quante sono le galassie nell'universo? In questa immagine di una minimissima parte della volta celeste già possiamo vedere che ne sono davvero tante. Questo è un cluster (un ammasso) di galassie.
Una stima sull'universo che siamo riusciti ad osservare finora ci dà un valore di circa 100 miliardi di galassie. Ma si pensa che possa essere appena il 2% di quello che c'è veramente lì fuori. E quindi sono veramente “tante tante”.
Nell'universo in espansione le galassie naturalmente si muovono. Ogni tanto avvengono delle vere e proprie collisioni tra di loro, con il successivo “merging”, fusione. Due galassie si fondono in una più grande.
Un'altra bella immagine di un merging di galassie.
Una galassia irregolare. Non tutti questi oggetti hanno, infatti, la classica forma a spirale.
All'interno delle galassie, prima della formazione delle stelle, ci sono immense masse di idrogeno, delle vere e proprie nubi: le nebulose.
Quella nella foto è la nebulosa più famosa che si vede con un qualsiasi telescopio dalla Terra, la nebulosa di Orione.
In questa foto possiamo distinguere i due tipi di nebulose che possiamo osservare in cielo.
La nebulosa rossa è una nebulosa ad emissione. La luminosità è dovuta proprio a luce emessa dal gas ad altissima temperatura. La colorazione rossa è tipica dell'emissione dell'idrogeno, il gas maggiormente presente in essa.
La nebulosa azzurra è, invece, una nebulosa a riflessione. All'interno di questa nube si sono già formate le prime stelle. La radiazione e la luce emesse da queste viene riflessa dal gas ancora in circolazione. Il colore azzurro è dovuto proprio alla luce di queste stelle giovani e caldissime che emettono proprio nel blu.
Questa è una tra le più belle e più fotografate nebulose ad emissione: la nebulosa “Testa di Cavallo”, chiamata così per la forma assunta da queste polveri che vanno a creare un'ombra che ricorda moltissimo una testa di cavallo. Anche questa nebulosa si trova nella costellazione dell'Orione.
All'interno delle nebulose le molecole d'idrogeno, per via dell'attrazione gravitazionale reciproca, tendono a concentrarsi in varie zone. Queste masse si ingrandiscono sempre di più, la pressione e la temperatura aumentano finché, raggiunti dei valori limite, si innesca la fusione nucleare che dà origine alle prime stelle.
Nella foto le stelle giovani, molto calde, le riconosciamo per il colore azzurrino.
Dalle stelle appena nate viene emesso vento solare, radiazioni e particelle “sparate” ad altissima energia. Questa radiazione, proprio come un vento, inizia a spazzar via il gas ancora non inglobato nelle stelle. La nebulosa viene allontanata, meno alcune zone dove il gas è più denso. Si formano i pillars, i Pilastri della Creazione.
Col tempo i pilastri diventano sempre più evidenti.
Il vento stellare continua a soffiare. I pillars si assottigliano sempre di più finché non si rompono, lasciando dei concentrati di materia più densa. Sono gli ovuli protostellari.
La pressione e la temperatura negli ovuli raggiunge il limite e si innesca la fusione nucleare: nascono stelle.
Da ogni nebulosa nascono diverse stelle, nascono degli ammassi stellari aperti.
In questa foto vediamo le Pleiadi, probabilmente l'ammasso stellare aperto più famoso. Lo possiamo intravedere in autunno ed in inverno anche ad occhio nudo. Tra le stelle c'è ancora dell'idrogeno che col tempo verrà spazzato via dal vento stellare; lo vediamo di colore azzurrino per via della luce riflessa (ricordate il discorso sulle nebulose a riflessione?).
Questo ammasso aperto è considerato l'oggetto più bello che ci mostra il cielo; è il Jewel Box, lo scrigno delle gioie. Composto da tantissime stelle che offrono diverse tonalità di colore: dal blu al verde, dal rosso al bianco.
Purtroppo non è visibile dalla nostra latitudine. Per poterlo osservare bisogna spostarsi nell'emisfero australe.
Un altro ammasso, ma di natura diversa: l'ammasso globulare. Composto da milioni di stelle (non più centinaia o migliaia come gli ammassi aperti) molto antiche. Questo in particolare è M13, l'ammasso nella costellazione dell'Ercole.
Esistono due teorie sulla formazione di questi oggetti.
La prima, quella che a me piace particolarmente di più: ricordate le galassie satelliti in qualche slide fa? Bene, queste galassie col passare dei miliardi di anni vengono attirate sempre più verso le galassie madri fino ad esserne inglobate. Scompaiono le braccia a spirale, ma rimangono abbastanza evidenti i nuclei. Questa teoria è avvalorata dalla elevata età delle stelle, dall'elevato numero e dal fatto che questi ammassi si osservano soprattutto ai confini delle galassie e mai nelle zone interne.
La seconda teoria parla, invece, di una formazione dell'ammasso in seguito al merging, alla fusione tra galassie (anche questo fenomeno visto qualche slide fa). Per alcuni strani motivi fisici, in seguito ad una fusione, rimangono queste zone ad altissima densità stellare.
Abbiamo detto quindi che le stelle nascono in grandi famiglie. L'ammasso aperto successivamente inizia a sfaldarsi con ogni stella che si allontana per la sua strada; ma circa il 10% / 20% di queste stelle tende a rimanere in piccole famiglie: i sistemi multipli.
In questo caso in particolar modo abbiamo un sistema binario. Queste due stelline, Albireo nella costellazione del Cigno, ad occhio ci sembrano una stella singola, ma con un discreto telescopio riusciamo a separarle e ad accorgerci che ne sono due vicine che orbitano l'una attorno all'altra. E' particolarmente affascinante anche per via dei due colori diversi: una blu e l'altra giallina.
La differenza di colore è dovuta ad una differenza di temperatura superficiale. Quella blu è molto più calda.
Noi, infatti, siamo abituati a considerare in arte, come colori caldi, il giallo, il rosso, l'arancione. I colori freddi sono, invece, il blu, il verde, il viola, ecc. In fisica è il contrario. Prendiamo ad esempio un corpo metallico, di ferro. Per assurdo, immaginiamo che questo non fonda mai. Lo iniziamo a riscaldare ed all'inizio lo vediamo sempre del suo colore, in genere nero; sta emettendo nell'infrarosso, una banda di frequenza (sotto al rosso) che i nostri occhi non riescono a percepire. Lo continuiamo a scaldare finché a temperature di circa 800/1000 gradi centrigadi diventa incandescente: inizia ad emettere nel rosso. Lo scaldiamo ancora, alla temperatura di 6000 gradi emette nel giallo (come il nostro Sole); a 20.000 gradi nel verde; a 60.000 nel blu; a 70.000 nel violetto; finché a circa 80.000 gradi il nostro corpo ritorna scuro: emette nell'ultravioletto, altra banda di frequenza elettromagnetica che l'occhio umano non riesce a percepire.
Un altro esempio di stella multipla è la conosciutissima Stella Polare, la stella del nord, che è un sistema triplo.
Abbiamo visto come nascono le stelle, vediamo ora come la loro vita volge a conclusione.
In questa immagine abbiamo M57, la Nebulosa Anello. Una stella molto simile al nostro Sole, delle stesse dimensioni o comunque non oltre dieci volte la massa solare, esaurisce il proprio carburante principale: l'idrogeno. Inizia a mancargli quindi la fonte principale di energia ed inizia un periodo di instabilità in cui la stella si comprime e si dilata fino alle dimensioni di una gigante rossa. Piano piano tende a spegnersi fino a morire in maniera completamente pacifica; il materiale si disperde verso l'esterno dando origine a quella che viene chiamata una “nebulosa planetaria”.
Sono chiamate così perché i primi ad osservarle tendevano a scambiarle per pianeti. In realtà poi si scoprì che questi oggetti avevano natura completamente differente.
Quello che vediamo è proprio il materiale stellare disperso verso l'esterno. Al centro della nebulosa rimane ancora il nucleo della stella originaria, una nana bianca. L'energia emanata da questa stella piccolissima rende fluorescente i gas che si stanno disperdendo e quello che vediamo illuminato sotto forma di anellino è proprio la parte più esterna della nebulosa.
Il nostro Sole tra circa 5/6 miliardi di anni concluderà la sua vita proprio così. Si ingrandirà come gigante rossa fino ad assorbire probabilmente i pianeti fino a Marte e poi darà origine anche lui ad una nebulosa planetaria.
Questa immagine gira da un po' di tempo in internet sotto forma di catena di Sant'Antonio che la presenta come l'occhio di Dio che si apre ogni 30.000 anni. Beh, vedete che non è assolutamente l'occhio divino, ma un'altra nebulosa planetaria, la Helix Nebula, dalla forma un po' più schiacciata che ricorda effettivamente un occhio.
Abbiamo visto come “muoiono” le stelle di dimensioni paragonabili a quelle del nostro Sole. Vediamo ora se la stella ha circa dieci o più volte la massa solare.
Anche essa ad un certo punto esaurirà il proprio idrogeno. L'enorme quantità di massa e la conseguente enorme attrazione gravitazionale farà collassare la stella fino a farle raggiungere pressioni elevatissime. Finché ad un certo punto tutta l'energia accumulata sfogherà in un enorme esplosione: una supernova.
L'immagine nella foto è M1, la Nebulosa Granchio, nella costellazione del Toro. E' il primo oggetto del profondo cielo di cui abbiamo documentazione: un antico scritto cinese racconta che nel 1054 comparve in cielo una seconda Luna Piena. Questa sorgente incredibile di luce durò per circa due anni. In base alle direzioni indicate nell'antico scritto è stata identificata con questo oggetto visibile al telescopio. Si notano getti violenti di materia in tutte le direzioni.
Un altro resto di supernova, più regolare come forma, ma con i colori molto più piacevoli.
E un altro resto di supernova per concludere la “lunga carrellata” di quello che possiamo osservare in cielo e al di là... andando oltre le stelle!
Concludo la presentazione consigliando uno strumento ottimo per iniziare a muovere i primi passi guardando un cielo stellato: il planetario elettronico.
I planetari elettronici sono programmi che, una volta configurata la latitudine e la longitudine del posto in cui ci troviamo e una volta configurata la data e l'ora, ricostruiscono il cielo stellato così come ci si presenterebbe. Molti di essi sono molto dettagliati, con ricchissimi database; ci danno la posizione degli oggetti del profondo cielo, dei pianeti e ci tracciano anche le linee per imparare a riconoscere le costellazioni principali.
Ce ne sono diversi, molti scaricabili gratuitamente da internet. Quello mostrato qui, in particolar modo, è Kstars. Creato per l'ambiente KDE, sotto Unix, ma è installabile anche su MacOS tramite MacPorts e su Windows tramite CygWin.
Ecco qui l'eclissi di Sole del 29 marzo 2006 simulata con Kstars.
Le dovute citazioni.
Le immagini della presentazione sono state prese da:
Archivio personale
Archivio dell'Osservatorio Astronomico Colle Leone – http://www.oacl.net
Wikipedia – http://it.wikipedia.org
Astronomy Picture of the Day – http://antwrp.gsfc.nasa.gov/apod
Thierry Legault – http://legault.club.fr
Marco Bastoni – http://www.astrofoto.it
Concludo con una frase di augurio che si usa molto spesso come saluto tra astrofili: CIELI LIMPIDI A TUTTI!!!